Lettera aperta per Ciccio Galloro

Senti Ciccio, d’accordo che era tua abitudine farci sempre degli scherzetti, ma questa celia ce la potevi risparmiare. Pazienza: in nome della quasi secolare fraterna amicizia, questa volta te la perdoniamo.
Senti Ciccio, ti scrivo a nome di tutti: Bruno, Ciccio, Michele, Nicola, etc., perciò non ti meravigliare se in queste poche righe salterò di palo in frasca, anzi per usare un termine a te caro, “farò dei voli Pindarici”.
Ieri ho parlato con Cesarina, come faccio spesso. Mi ha risposto con un tono di voce strano e senza la solita allegria. Mentre parlavamo delle solite piccole cose, mi butta là:
“Peppino, questa mattina hanno portato all’ospedale Ciccio Galloro. Non so cosa ha”.
“Grazie di avermi avvisato – rispondo – pomeriggio chiamerò casa sua per sapere come sta”.
Apro il computer e trovo una email di Ciccio Merincola. Normale prassi: ci sentiamo spesso. Non l’avessi mai letta. Ecco cosa ho letto:
“Peppino, nostro fratello ci ha lasciato”.
Ascoltami bene Ciccio. Fra di noi non esiste l’ipocrita retorica da farisei: siamo persone abituate alle cose semplici e genuine, non allo champagne, ma al vino di uva fragola.
Pertanto so che non ti aspetti da me le solite frasi fatte. Mi conosci bene.
Un mese fa ti ho chiamato in ufficio: sì, quel numero lungo dove ti ho trovato per caso.
Ci siamo sbracati dalle risate parlando di Farouk.
Nelle nostre frequenti conversazioni telefoniche non mancava il ricordo di episodi legati alla nostra gioventù ed infanzia. Dopo tutto ci legava il complice attaccamento per “Lu chianu de la Cutura”; tu ci abitavi, io venivo da nonna Giuditta. Quante “cazziiate” da Commare Cecilia quando la colpivamo con “lu surici”.Eh sì, noi non disponendo della Play-Station, dovevamo far lavorare la fantasia.
Avevamo circa undici-dodici anni quando hai incominciato a frequentare casa mia.
Insieme leggevamo l’Avventuroso, il primo rotocalco arrivato al paese. Ti meravigliavi dei salti mortali che dovevo fare per racimolare le 50 lire – cifra per noi allora astronomica – del costo della rivista.
Incominciavamo dalle pagine dello Sport: eravamo ammiratori di un giornalista che si chiamava Nino Nutrizio. E, dulcis in fundo, i fotoromanzi. Ci entusiasmavano i western: ci siamo rimasti male quando è morta Albertina, la ragazza di Arizona Kid. Ma noi si stava sempre dalla parte degli indiani. Già d’allora non sopportavamo la prepotenza.
Leggevamo anche “Bolero”, ma di nascosto – in illo tempore era “peccato” -, ce lo prestava Maria la Majeratana. Poi qualcuno ha incominciato a prestarmi gli albi di “Sciuscià”; li tenevamo un giorno ciascuno e poi commentavamo le avventure degli scugnizzi.
Ciccio, crescevamo tranquilli tra Vibo e San Nicola. Ci prestavamo i libri, ci aiutavamo vicendevolmente con tutto quel poco che avevamo.
Aspetta Ciccio, altrimenti me la dimentico, questa te la ricordi.
Vacanze estive a San Nicola. Siamo, più o meno, sedicenni. In programma una gita a Coppari. Eravamo tutti. Trovare il pane ed il Vino non è stato difficile. L’ostacolo quasi insormontabile veniva adesso: dove trovare un paio di soppressate? Gira e rigira, pensiamo a nonna Marta. Nello scantinato aveva due “salaturi” di ragguardevole misura, pieni, stracolmi di soppressate sott’olio. Ogni soppressata parlava, rideva, attirava più di una calamita. Studiato il piano facciamo il “grande colpo”, 2 soppressate ogni “salaturi”, con la speranza che nonna Marta non se ne accorgesse (cosa difficile, molto difficile).
Mentre uno, se ricordo bene Michele, si allontanava dalla porta di sotto con la preziosa refurtiva, tu ed io siamo saliti sopra come se niente fosse. Passando accanto alla nonna, io ho intonato, con il motivo di “una furtiva lacrima” dall’”Elisir d’amore”:
Una furtiva soppressata
Dal salaturi scappò… etc.
Appena fuori la porta hai liberato quella contagiosa risata che potrei distinguere anche durante un concerto di “metallari”. Eh si, Ciccio, tu ridevi sempre. Non ricordo di averti visto mai incazzato. Torniamo a noi.
Eravamo ragazzi tranquilli con modeste esigenze. La nostra droga era una “padella de cerasole a cerasu” ed un bicchiere di vino fragola. Sì, dirai tu, ma poi abbiamo incominciato a fumare. E va bene Ciccio, diceva Oscar Wilde: “Chi non ha vizi non ha virtù”. Amavamo la cultura ed eravamo assetati ed affamati di sapere. Lo so Ciccio, cosa stai pensando, ti conosco bene: allora non avevamo la televisione a rincoglionirci.
Abbiamo finito il ginnasio a Nicotera. Poi siamo cresciuti. Ognuno per la sua strada.
Ma sempre vicini: epistolarmente prima, telefonicamente in tempi recenti.
Ciccio, impossibile rammentare tutto: non ci sarebbe lo spazio.
Sono felice di aver passato una serata con te a Marzo in casa di Ciccio Merincola.
E dopo ci siamo sentiti spesso.
Ciccio, la vita è un prestito di madre natura. Prima o poi la dobbiamo restituire. Trattandosi di un prestito dobbiamo pagare gli interessi: e spesso, anzi quasi sempre, sono interessi da usura.
Ciccio, sto guardando una vecchia foto del 1951: siamo tu ed io che giochiamo a pallone “supa li chiani”, mica avevamo campo sportivo: ci bastava una “rasula chiana”.
Ciccio, te l’ho detto all’inizio: niente retorica o frasi fatte. Tu hai restituito il tuo prestito, fra non molto lo restituiremo anche noi.
Ci mancherà la tua risata.
Sic transit gloria mundi.
Ciccio, non mi firmo, lo sai chi sono e chi siamo. Ciao.