Ho conosciuto Ernesto Guevara
È il più importante brandello di storia della vita (errante, in verità) di Dafne.
Il suo nome è dovuto alle manie di grandezza del cavaliere. Non di quello attuale, ma del primo. Quello che aveva avuto la bella idea di esportare la civiltà dimenticando il suo orticello.
Il padre andava in Africa per lavoro, prima di partire l’ultima raccomandazione: se il nascituro sarà maschietto si chiamerà come mio padre. La madre acconsente, sapendo che avrebbe fatto di testa sua. Le prime due figlie già portavano nomi della famiglia paterna: stai fresco se credi che ti lascio anche il terzo.
Maschietto è venuto ed il nome del nonno paterno gli è stato dato. Il nome “de lu pappù”.
Il padrino è stato il Geometra Condello. Bellissima persona dotata di classe, signorilità e cultura, non facile da trovare oggigiorno. Un Signore d’altri tempi. Era, il geometra Condello, anche appassionato di mitologia ed aveva un debole per la storia di Dafne. Per i pochi che non lo ricordano: Dafne era una ninfa che ha, come dopo qualche secolo avrebbe fatto la Signora Santanchè con il moderno Cavaliere, detto ad Apollo: “Non te la do“.
Apollo, incazzatissimo glie la fece pagare trasformandola in Alloro. Ognuno fa quel che può.
Ed il secondo nome del nostro protagonista è stato Dafne.
Agosto 1961. Montevideo, Uruguay.
Dafne lavora presso l’ambasciata italiana. È un buon conoscitore della realtà sociale del Latinoamerica, essendo vissuto in Argentina dove ha conseguito la Maturità Classica presso il liceo italiano Cristoforo Colombo. Era iscritto presso la facoltà di Scienze Politiche che, secondo i militari al potere, era un covo di comunisti.
In tutta l’America latina si respira qualcosa di nuovo. Fino ad ora hanno sempre dovuto obbedire alle molte dittature e inginocchiarsi davanti ai pochi latifondisti: il tutto con il beneplacito , non tanto latente, di Santa Romana Chiesa. Infatti al funerale di quel grande galantuomo del Generale Pinochet si trovavano un paio di cardinali e una decina (si, una decina) tra vescovi e arcivescovi.
La giovane rivoluzione cubana portava una ventata di novità, speranze ed ottimismo. Purtroppo sarebbero state utopie.
Il profeta di queste utopistiche speranze era Ernesto Guevara. Universalmente noto come “El Che”.
Ecco perché quel “Che”: come i torinesi usano intercalare quel “Neh”, così gli argentini non incominciano una conversazione che non sia “che”.
I cubani, che non conoscevano il significato di questo termine, incuriositi e divertiti glie lo hanno appioppato come “nome” (anche se, fra i rivoluzionari della Sierra Maestra, era anche conosciuto come “El quitamuelas”, cioè: quello che toglie i denti – per via dei suoi studi universitari in medicina, anche se non è mai arrivato alla laurea).
Guevara era già famoso ed ammirato in America Latina. I suoi programmi incominciavano a diventare una dottrina politico-sociale.
Vicinissimo alla laurea in medicina, alle spalle una famiglia borghese benestante, una fidanzata bella e ricca e, dulcis in fundo, una madre assetata di giustizia per i poveri.
Rinuncia a tutto.
Dopo il famoso viaggio in motocicletta con il fraterno amico Alberto Granado – morto di recente a Cuba e grande amico del giornalista italiano Gianni Minà – si era reso conto di persona in quale povertà, squallore e degrado umano viveva la gente. I nativi – erroneamente conosciuti come Indios – spogliati della loro dignità umana.
Un calcio alla bella vita. In Messico conosce Fidel Castro e da lì comincia la sua Missione finita, purtroppo, tragicamente in Bolivia, tradito dai suoi prediletti indios.
Gli stati Uniti erano incavolatissimi per la piega che aveva preso la rivoluzione cubana.
Rivoluzione che rischiava di diffondersi in tutto il latinoamerica.
Un regime comunista e pappa e ciccia (meglio: culo e camicia) con la Russia del vulcanico Kruscev. Si voleva porre un freno a questa ondata di focolai rivoluzionari.
More solito, i governi sono dei geni dell’illusione: dobbiamo far vedere a questi morti di fame che noi pensiamo al loro benessere.
Ecco programmata una bella riunione dei ministri dell’economia di tutti i paesi del continente americano.
La data: primi di agosto 1961. Il posto: Punta del Este, una bellissima località sull’oceano Atlantico a circa 70 km nordest di Montevideo. Punta del Est è la meta preferita da tutti i latinoamericani per le vacanze estive. È anche famosa per essere stata teatro – nel 1939 – della famosa battaglia navale: la battaglia del Rio de la Plata. Quando l’incrociatore tedesco Graaf Spee è stato fatto saltare in aria dal suo equipaggio per evitare di essere affondato dalle corazzate della Royal Navy inglesi che la aspettavano al limite delle acque territoriali uruguayane. La sua Ancora riposa su uno scoglio.
Dafne conserva ancora una sua foto seduto, insieme alla sua ragazza, sull’Ancora.

Un meeting importante: dicevano – i politici – che avrebbe risolto tutti i problemi economici che affliggevano i paesi ispano-americani. Per dovere di precisione: gli abitanti del latinoamerica ancora stanno aspettando e, certamente, dovranno ancora pazientare.
Tutti i paesi europei hanno mandato un loro osservatore. Il rappresentante dell’Italia era il Ministro plenipotenziario Silvestrelli.
Il piatto forte era la delegazione cubana: guidata dal Ministro per l’economia: Ernesto Guevara.
Il ministero degli esteri italiano aveva già fissato un meeting, tramite l’ambasciata a Cuba, con la delegazione cubana.
L’ambasciatore in Uruguay si chiamava Andrea Ferrero, un omone grande e grosso che a Dafne ricordava il fabbro del suo paese. Un burbero con il cuore e l’animo da francescano.
Chiama Dafne, il più giovane impiegato ed il suo pupillo:
– Mi ascolti bene: dal primo agosto lei si trasferirà a Punta del Este e collaborerà con il Dottor Silvestrelli quale suo interprete per aiutarlo a stendere le relazioni per il ministero ed il loro inoltro con il corriere diplomatico.
Quell’anno l’inverno era stato particolarmente rigido (sempre per gli standard sud americani) e il signor Silvestrelli era arrivato con vestiti primaverili.
Questi vestiti leggerini, il freddo, la sua abitudine di recarsi alla Messa ad ore antelucane lo hanno costretto a letto con un solenne raffreddore. Era Andreottiano e vaticanista, non fosse mai che si perdesse una Messa.
Dafne partecipava alle riunioni e poi faceva le sue relazioni (si chiamavano Note Verbali – mai saputo perché) da spedire al Ministero degli esteri (dove – certamente – nessuno le avrebbe lette).
In quelle riunioni parlavano tutti e tutti sparavano (chiedo scusa) enormi minchiate. Promettevano mari e monti (come quel signore (!!!) che ha comprato casa a Lampedusa). E, di tutte quelle promesse e progetti, i latinoamericani stanno ancora aspettando per la loro realizzazione.
Se ricordo bene era il 6 agosto.
In mattinata colloquio informale Italia-Cuba.
Inutile precisare che l’Italia era costretta ad agire quale prestanome degli USA.
Dafne arriva prima del previsto al palazzo dei congressi. Il Silvestrelli lo aveva ragguagliato su cosa dire e quale domande fare.
Entra nella saletta riservata aspettando i cubani.

Dopo più di un’ora – è notorio che per i latini la puntualità è sconosciuta, ma nemmeno gli italiani scherzano al riguardo – entra Ernesto Guevara, immancabile sigaro in bocca – bei tempi, quelli, si fumava dappertutto – ed accompagnato da sei barbuti guardaspalle. Era scortato perché si era saputo che la CIA lo voleva ammazzare.
Dafne appariva più giovane della sua età. Guevara lo guarda con sospetto e curiosità. Dafne si presenta spiegando l’assenza del rappresentante ufficiale italiano e chiedendo, timidamente, di poterne fare le veci.
Parola più, parola meno, questo il breve colloquio fra i due:
D: Signor Ministro – ripetendo come un pappagallo ciò che gli aveva suggerito Silvestrelli – il Governo italiano vorrebbe sapere quale futuro indirizzo darà alla sua politica economica; e, se può essere di qualche aiuto.
Subito Guevara nota che Dafne parla un ottimo castigliano con accento argentino.
G: Non è il caso che mi chiami ministro, Ernesto va bene (uno dei cubani ridendo: “Mejor Che”)
D: Ernesto, come mio padre.
G: Non sapevo che anche in Italia si usasse questo nome. Ma, perché tu parli con accento argentino?
D: Son vissuto ed ho studiato a Buenos Aires. Sa, io facevo parte di quel gruppo di universitari che hanno creato il “Cuba Libre” – Rum e Coca – per onorare la rivoluzione cubana.
G: La rivoluzione cubana è una cosa seria; non è rum e coca. È il futuro dell’America Latina e dell’Africa. Sarà il risveglio degli oppressi. Ascolta, hai letto Gramsci?
Dafne rimane a bocca aperta. Sapeva di Turati, di Treves, di Matteotti, di Togliatti, ma di Gramsci poco.
D: No, non ho letto Gramsci – e come per scusarsi – però conosco bene Marx ed Engels.
G: Tutti gli italiani dovrebbero leggere Gramsci. Da lui ho appreso cosa vuol dire giustizia, libertà. Ma ho i miei dubbi che i preti lo permetteranno – allora imperava la DC.
D: Ernesto, cosa debbo scrivere nel mio rapporto?
G: Di’ al tuo capo che può chiedere agli americani. Loro sanno sempre tutto e prima di tutti. Peccato che si accorgono sempre tardi.
Cordiali saluti di circostanza e via.
Dafne si accende una sigaretta e scrive il suo bravo rapporto lungo e dettagliato con cento particolari. Ovviamente tutto inventato. Mica poteva ritornare da Silvestrelli o da Ferrero a mani vuote. Un rapporto esauriente e particolareggiato sulla politica economica cubana. Tutto inventato. Del resto, in tutte le grandi riunioni internazionali non è tutto inventato?
E poi, Dafne sapeva benissimo che nei ministeri nessuno si prende la briga di leggere i vari rapporti. Leggono la Gazzetta dello Sport.
Solo dopo qualche tempo Dafne si dà conto dell’importanza di quell’incontro. Era stato testimone di un pezzo di storia, ed aveva avuto la fortuna ed il grande privilegio di stringere la mano di uno dei più importanti protagonisti del secolo scorso.
Dafne, attraverso gli anni, ha parlato pochissimo di questo memorabile incontro. Soltanto qualche anno addietro lo ha detto a suo cugino Michele ed a un suo nipote.
Dafne, pensando al personaggio che ha conosciuto, si sente una persona ricca, ricca di un ricordo che vuole dividere con poche persone.
I nomi delle persone e delle località sono vere e possono essere controllate. Il nome di Dafne, il protagonista del nostro racconto, è iscritto presso l’Anagrafe del comune di San Nicola da Crissa dei nati nell’anno 1936.