Il milionario

Ah, quando si dice le sorprese della vita!

Ero milionario, anzi sono milionario e non sapevo di esserlo. L’ho scoperto leggendo i giornali. Come è vero che la lettura arricchisce la persona.

Non è per vanto o modestia, né per suscitare invidie a chi pensa sempre ai soldi, ma son venuto a sapere di avere in banca tanti di quei soldi da aver perso il conto.

Come si dice: chi sa quanto denaro ha non è ricco.

Io non lo so, ergo sono ricco.

Poiché ho la fortuna di dormire poco, posso passare intere nottate facendo conti, addizionando cifre, numeri sopra numeri. Niente da fare: non so quanto posseggo.

Sempre senza vanto o immodestia, ecco un piccolo elenco dei miei averi, della mia roba.

Incomincio dalle piccole somme.

Un tizio, credo un tennista, possiede un orologio da cinquecentomila euro. Ed eccomi a cogitare come potrebbe essermi utile un simile orologio. Quando mi sono pensionato me ne hanno regalato 6. Tutti chiusi religiosamente ed ermeticamente in un cassetto. Continuo ad usare, raramente, un orologio comprato nel 1991 in Andalusia da un simpatico marocchino. Prezzo: duemila pesetas, corrispondenti al valore attuale a venti euro. Dopo vent’anni continua a comportarsi con precisione teutonica.

Inutile per me il gioiello del coccolato atleta. I primi cinquecentomila euro in banca.

Leggo di un ragazzo che possiede un’auto costruita appositamente per lui dal ridicolo ed indecente prezzo di un milione duecentomila euro. Ebbene, cogito e ricogito a lungo: cosa potrei fare io con quella macchina? Niente, assolutamente niente. Già è troppo la mia Nissan. A parte il fatto che a me le auto non sono mai piaciute: sono state arnesi di lavoro.

Ed eccoti un altro milione e duecentomila euro sul mio conto.

Leggo sui giornali italiani di quel grande (veramente grande) giornalista che è Giuliano Ferrara. Uomo (in verità omone) dalla genialità leonardesca e dalla poliedrica personalità – veramente poliedrica è dir poco per una persona che ha la costanza di cambiare bandiera ad ogni stormir di foglia senza battere ciglio e senza arrossire.

Ebbene, questo grandissimo oratore guadagna tremila euro per parlare in televisione solo cinque minuti. A occhio e croce userà, si e no, trecento parole: il che fa dieci euro a minchiata. Parla (o delira?) cinque giorni la settimana ed abbiamo quindicimila euro.

In un mese sono sessantamila euro.

Penso, ripenso, cogito, cerco una via di uscita. Niente; non saprei che farmene di questi soldi. Avete capito bene: siccome non mi servono è come se li avessi in banca.

Leggo spesso di presidenti di banche che guadagnano più di cinque milioni per anno. E qui la faccenda è diventata seria. Molti soldi in gioco. Una settimana intera, tutte le notti a scervellarmi. Capirete, sono 5 milioni; bisogna trovare il sistema di usarli. Che mal di testa pensare ed ideare progetti. Niente, non saprei come spendere o utilizzare tale somma.

La mia modesta pensione mi permette di vivere dignitosamente. E mi rimane, anche, qualcosina per un paio di viaggi annuali, per l’acquisto di qualche libro, un paio di giornali e qualche bottiglia di vino. Niente da fare. Questi soldi non mi servono assolutamente: che cavolo potrei fare io con tale cifra? Niente. Li metto in banca.

Diversi – anche molti: alla faccia della povertà galoppante – calciatori guadagnano oltre duecentomila euro a settimana – avete capito bene. Spero che i pensionati a cinquecento euro al mese, cioè centoventicinque euro a settimana, non se ne dolgano.

Ho appena ricordato: a gennaio ho conosciuto un giovane siciliano di nome Carmelo. È laureato in biologia, master a Boston. Fa il ricercatore all’Università. Stipendio: ottocento euro al mese. Circa duecento a settimana. E non sempre lo pagano.

E qui un altro grattacapo. Mi servono duecentomila a settimana? No, assolutamente no. Non saprei come essere l’utilizzatore finale. Qualcuno potrebbe dire: stupido, incomincia a mangiare caviale e bere champagne. Ho pensato anche a questo: il caviale a me non piace: lo trovo anche un po’ schifosetto. Sarde ed alici del Mediterraneo non li cambierei nemmeno con l’oro. Champagne? Scherziamo! Quanto vale una bottiglia di Chianti, Cirò, Barbera, Frascati, etc. non vale tutta la Francia ed il suo Champagne (viva il Prosecco). Ed eccoti nel mio conto altri duecentomila euro a settimana. Sono altri duecentomila euro a settimana che non mi servono. Mettiamoli a riposare in banca.

Adesso andiamo all’artiglieria pesante. Anzi pesantissima. Il mio conto in banca salirà a livelli stratosferici. E questo grazie al buon samaritano. Grazie al filantropo per antonomasia (anche se le invidiose malelingue lo definiscono il Donzellofilo oppure il Minorennofilo: pura invidia). Sì. Invero parliamo del Signor Berlusconi.

Ad Antigua, isola dei Caraibi, paradiso per gente “ingiustamente” accusata di evasione fiscale, possiede una favolosa villa. Pensate gente: ha undici gabinetti. Caspita! Il mondo era a conoscenza che il Signor Berlusconi soffre di prostata, ma, andiamo, mica passerà la giornata facendo pipì.

are, stima con difetto, che la villa in questione valga intorno a venti milioni di euro.

E qui una crisi di emicrania non me la leva nessuno. Perché il signore sopra menzionato possiede altre ville: in Sardegna – villa da mille e una notte –, ad Arcore, sul lago di Como, a Macherio, a Roma, e tante altre che nemmeno lui conosce. E non dimentichiamo l’ultima acquisizione: la villa di Lampedusa.

Tutte queste ville, villini, villette e palazzi, sono composte da decine di camere e decine di gabinetti e circondati da parchi che ricordano l’Eden.

Che mal di testa dover decidere come utilizzare questo patrimonio.

Ho passato più di un mese da cogitabondo. Ho cercato di immaginare tutte le situazioni possibili. Sono persino arrivato al paradosso di cambiare stanza ogni notte per 365 giorni l’anno – ovviamente questo vale anche per i gabinetti. Niente funziona. Già i centoottantasette metri quadri della mia casetta sono molti per due persone. Il giardino mi impegna più del dovuto. Per la pipì non ho problemi: male che vada, in giardino ci sono un paio di alberi.

A proposito: avete mai provato a fare la pipì all’aperto in una notte stellata? Provateci. Sentirete pena per quel signore che possiede centinaia di gabinetti.

Sì, direte voi, ma i parchi dove li metti?

Il primo a trecento metri, il secondo a meno di un kilometro. Sono i due parchi vicino casa mia. Tempo permettendo mi reco anche due volte al giorno. Aceri maestosi; querce secolari – infatti il nome della mia città è Oakville: la città delle querce – salici dalla fluente ed armonica chioma; olmi che svettano con eleganza verso il cielo; profumatissime lillà. Anche uccelli: cardinal dalle piume rosse come il fuoco, blue jays, azzurri con striature bianche e la cresta come l’upupa; leprotti timidi e guardinghi; procioni più birichini di Pierino; opossum dal musetto corrucciato quando involontariamente li sveglio; gli scoiattoli, da esperti e consumati trapezisti, mi offrono gratis uno spettacolo circense.

Ed io dovrei essere così idiota da lasciare tutto questo regalo di madre natura (e delle tasse che paghiamo e che i nostri politici non rubano) per i gabinetti del signor Berlusconi? No, non ci penso affatto.

Che valore avrà tutta questa roba? Incalcolabile. Moltissimi soldi. E non sapendo che fare con questo denaro, non mi serve, non mi serve, ecco: e come se avessi tutto questo incalcolabile capitale in banca. E non saprò mai quanti soldi ho in banca.

Avevo tredici-quattordici anni la prima volta che ho letto Mastro Don Gesualdo di Giovanni Verga. Un nitido ricordo: che pena leggere la fine che ha fatto Mastro Don Gesualdo. Lui, che ha passato la vita pensando solo alla “Roba”.

Spessissimo e con infantile gioia, dimenticando tutti quei soldi in banca, ammiro la mia povera e modesta biblioteca. Pochi volumi, non piu’ di ottocento. – ricordo che da ragazzo invidiavo, e continuo ad invidiarlo, il padre di Giacomo Leopardi: Monaldo. Possedeva una biblioteca con ventimila volumi. Uomo baciato dalla fortuna.

I miei libri? Eneide e bucoliche del 1755. Dell’historie romane di Tito Livio tradotto da Guicciardini anno 1567: prima edizione. Grammatica latina di Zenone: 1900. Diversi volumi in lingua castigliana del 1850. Un libro di geografia: 1830. E poi: Dante, Omero, Tasso, Shakespeare, Cervantes, Ariosto, Shaw, Pirandello, Kafka, Garcia Marquez, Neruda, Svetonio, Virgilio, Garcia Lorca, J.R. Jimenez. Ed altri ancora.

Sono ricco, ricchissimo, più ricco di tutti quelli che ai soldi danno del lei.

Sono ricco e non lo sapevo.

E, chissa, quanti sono ricchi come me e non si rendono conto.

Povero Mastro Don Gesualdo! Ha passato la vita sacrificandosi ad ammassare roba, la roba, ed è morto senza poter portare con sé niente, assolutamente niente.

Sic transit gloria mundi.