L’Asino

Pedrito (Estremadura, 1997)
Incominciamo col dire che l’asino è considerato il parente povero del cavallo. Il rappresentante della plebe equina. Il cavallo è il nobile, l’asino è il plebeo, il cafone.
E parliamone, una volta tanto onestamente e senza ipocriti pregiudizi, di questa umiliata, bistrattata, maltrattata, calunniata, denigrata, bastonata, sottovalutata e infine mortadellata meravigliosa creatura.

La ignominiosa nomea che lo accompagna può essere attribuita in parte al Signor Collodi. Pinocchio stupido? Pinocchio non va a scuola? Pinocchio è un monellaccio? Pinocchio non capisce niente? Te lo sistemo subito: un bel paio di orecchie d’asino saranno il futuro, perenne, indelebile marchio. Lucignolo? Asino vita natural durante.
Ma sì, mettiamo l’asino alla gogna, esponiamolo al ludibrio dello “homo sapiens” – non so perché, ma questo termine “sapiens” l’ho trovato sempre come una presa per i fondelli.
Frequentando le scuole elementari, tutti abbiamo visto un compagno – no, no, stia tranquillo Berlusconi, non parliamo dei compagni da lui invisi e temuti – o, perché no, anche noi stessi, messi alla berlina in un angolo dell’aula, dotati di un paio di orecchie d’asino fatte di carta. Oppure con la vergognosa scritta attaccata alle spalle: Asino. Bollato, marchiato. Asino: indice di limitata capacità mentale.
Gli insegnanti ci condannavano – condanna senza possibilità di appello – con un sonoro, sinistro e vergognoso epiteto: Asino! O peggio: Somaro! O, peggio ancora: Ciuco!
Quale infondata calunnia.
Vorrei sapere, di grazia, da quale particolare il saccente “homo sapiens” si è accorto che l’asino è stupido. L’essere umano che, da che mondo è mondo, non ne azzecca mai una che sia una. L’essere umano che si permette di giudicare madre natura.
Allo scrittore Juan Ramon Jimenez è stato assegnato – 1962 – il premio Nobel per la letteratura. Il libro stupendo: Platero y Yo. Uno dei migliori libri che ho letto nei miei 75 anni di provvisoria residenza in questa valle di lacrime e di menzogne.
Platero era un Asino.
… Platero es pequeno, peludo, suave y tan blando por fuera que se diria de algodon, que no lleva huesos… es tierno y mimoso igual que un nino… pero fuerte como de piedra.
Di fuori è sdolcinato e affettuoso come un bimbo, di dentro duro come la pietra.
Nel nostro dialetto esiste un termine che dice tutto: “atthrippare”.
Non c’è cosa più bella che vedere un puledrino saltare, correre, esprimendo felicità. È un giocherellone.
… Va a tu alma, que ya pace en el Paraiso…
Vada la tua anima nei pascoli del Paradiso.
No, noi umani lo ignoriamo, ma gli animali, alla loro morte, hanno come premio il paradiso. L’inferno lo hanno avuto, grazie a noi umani, in questa valle di lacrime e odio.
Contrariamente alla teoria collodiana ed umana, l’asino è una creatura dotata di grande intelligenza. La sua memoria è quasi elefantiaca.
È, purtroppo, anche molto curioso: e questa sua peculiarità lo porta spesso a mettersi nei guai. Distingue le persone con facilità. Ricorda le strade e gli itinerari come fosse dotato di bussola. È molto pulito.

Paraguay 1958 – ad occhio e croce – andavamo, con due amici e via autostop – ah, quant’è bella giovinezza! – a conoscere le cascate dell’Iguazù. Le più belle cascate del mondo. Questo, io, lo posso affermare con cognizione di causa. Vivo a pochi chilometri dalle stupende e maestose cascate del Niagara. Ergo, sono in grado di fare un paragone – anche se i paragoni sono sempre antipatici.
Allora, dicevo in Paraguay. Un vecchio campesino – un guarany puro sangue che, facendo onore alla sua razza, non ha mancato di offrirci un “charuto” (sigaro naturale) ed un goccetto di genuino distillato di canna da zucchero – ci ha detto: se vedete che l’asino beve, bevete anche voi tranquillamente.
Non sbaglia mai.

È uno dei pochi animali che si adatti a tutti i climi. Tibet, Congo, Scozia, Colombia, Cina, Spagna, Mongolia. Neve, sabbia, freddo polare, caldo tropicale: non ha problemi e vive serenamente la sua spartana vita.
Cammina con la grazia del grande Nureyev – per i giovani: il più grande ballerino di tutti i tempi. Se avete la fortuna di vederne qualcuno, guardatelo da dietro: ammirerete la ritmica ed armoniosa cadenza delle sue gambe. Ha l’agilità di un funambolo. Non esistono terreni dove non possa camminare. Si destreggia con sicurezza e, perché no, anche grazia attraverso gli scoscesi sentieri del Nepal e del Perù. Scivola sulle sabbie dello Yemen. È molto parco nel mangiare. Ma, questo sì, è golosissimo: per una zolletta di zucchero farebbe carte false – certamente non si comporterebbe come certi politici italiani voltagabbana: l’asino è una creatura seria.
Quando è contento, oppure quando il maschio incontra una bella asinella, canta a quattro polmoni. Precisiamo: l’asino canta. È l’essere umano che raglia. Provate ad ascoltare un politico, non solo della lega, o qualche prelato.
… Es como de acero. È forte come l’acciaio.
Questo dicevano i vecchi paesani vedendo passare Platero.
È tollerante. E non è testardo. Una ipocrita leggenda. Sì, dicono, ma in alcune circostanze si ferma e non ne vuole sapere di camminare. E ti credo! I contadini lo caricavano come una nave portacontainer. Il povero animale non aveva più la forza per poter proseguire. Questo, l’ “homo sapiens” obnubilato dal suo egoismo non lo ha mai capito. Non camminava perché era testardo, perché faceva i capricci. Non perché lo avevano caricato come un Tir.
I nostri contadini – lo ricordo bene: da ragazzo ho assistito innumerevoli volte – lo chiamavano testardo quando non voleva bere. Ma, di grazia, se quell’infelice bestia non aveva sete, perché doveva bere? Dei due: chi aveva la testa dura?

Nel 1980 esistevano nel mondo circa 40 milioni di esemplari. Attualmente, forse, superano il milione. La maggior parte nei paesi poveri. In Italia (qualche milione prima della guerra) pochissimi.
In Norditalia esistono diversi allevamenti. Il latte d’asina è molto ricercato. Importante un agriturismo che si trova a Monte Baducco – Reggio Emilia – con centinaia di esemplari.
Il ciclista Bruseghin ha una fattoria con più di cento. Ci sono un paio di rifugi amministrati da volontari per asini maltrattati. In Sardegna diverse colonie. Qualche modesto allevamento in Sicilia, una volta la più ricca. A Santa Teresa Riva – Messina – si svolge ogni anno una sagra per eleggere l’asino più bello. Molti anni orsono, lo scrivente, ha avuto l’onore ed il privilegio di far parte della giuria.
Sono certo che la maggior parte dei ragazzi di oggi non hanno mai visto un asino. Mi dispiace per loro: non sanno cosa si perdono. E, assoluta verità, non sanno che l’asino ha dato un importantissimo contributo alla sopravvivenza dell’umanità. Già ne parlava Ippocrate: raccomandava il latte d’asina per varie patologie. Soprattutto per gli avvelenamenti e per le artriti.

Eh sì, perché il latte d’asina è prezioso; è quello che più si avvicina al latte del seno materno. Io ne sono un esempio. Se son giunto fin qui il merito – o la colpa – è di un’asina.
Quando sono nato, mia madre si è ammalata e non aveva latte. In illo tempore non esistevano formule, omogeneizzati od altri intrugli. Le possibilità erano nulle: più facile morire che campare. A commare Vittoria era nato Micu. Quella stupenda donna abitava a Coppari. Veniva al paese quando poteva e con sacrifici. La strada da Coppari al paese era un calvario: pietre e fango. Mai dimenticata quella donna: mai andato una volta al paese senza recarmi ad abbracciarla.
E lei mi chiamava: Peppinejo meo.
Ma anche in questo frangente madre natura ci ha messo una pezza. Contemporaneamente ha partorito l’asina di Peppe di Macrina. Aveva i terreni a Capo Cannale – si chiamerà ancora così – ma la sera rientrava al paese.
Messo al corrente del lieto evento dell’asinella, il dottor Tommaso Tromby – che grande galantuomo! – ha esclamato: Eureka!
Risolto il problema dell’allattamento di Peppino. L’asinella aveva latte sufficiente per due. Che peccato: non ho potuto conoscere l’asinello con il quale dividevo le poppate; in fondo eravamo fratelli di latte.
Spesso l’asino faceva parte – e che parte – della dote delle ragazze da marito. E i futuri sposi sapevano di poter disporre di un capitale. Era il più importante componente della economia familiare. Praticamente era l’unico mezzo di trasporto della comunità agricola e paesana. Sulla groppa gli veniva messo il basto. A questa bisogna, nel nostro paese, provvedeva Mastro Angelo Riccio: un geniale e specializzato artigiano; un vero artista dalle mani fatate. Il basto permetteva l’adattamento al trasporto di qualsiasi merce, compresi vino ed olio. Per le persone faceva da sella. Eh sì, perché l’asino aveva anche il compito di fare da tassì. Era l’unico tassì esistente nei paesi.
E, non ultimo, in molte località rurali era indispensabile per il funzionamento dei frantoi e dei mulini. Era, insieme all’acqua, l’unica forza motrice.
Facilitato dalla posizione del mio rione, ho avuto l’opportunità di conoscere molti asini.
“La ruga de la Papa” era un passaggio obbligatorio per gli agricoltori che la sera rientravano dai campi. Venivano da Brizzu, de li Rini, de Marasà, de arrede a Fazzu, de lu Scarmiu, de l’Angri. Inoltre passavano i piccoli commercianti che portavano le loro merci verso Soriano e paesi limitrofi.

Ricordo con simpatia e nostalgia due giovanotti di Soriano.
Noi ragazzini li chiamavamo “li pejari”. Passavano, taciturni e seri, quasi ogni settimana. Venivano al paese e quelli vicini ad acquistare dai macellai le pelli di capra – quello passava il convento: la carne vaccina ogni morte di Papa, e, guarda caso, i papati erano sempre lunghi. Questi ragazzi avevano due asini bellissimi: prestanti e scalpitanti. Li mantenevano bene. Ricordo il nome della femminuccia: Bianchina, perché sul petto aveva un cerchio bianco.
Inoltre, alla Papa c’era una fontana con l’apposito abbeveratoio. La donne de “la ruga” non bevevano quest’acqua; dicevano che era liscia o “chiatta”. Mai capito il significato.
Ma avevano la fortuna dalla loro parte: a poche centinaia di metri c’era la fontana di Dorico: l’elisir di lunga vita. Ah, non lontano c’era anche la famosa acqua de “animeja”. Ma questo è un altro paio di maniche.
Torniamo alla Papa: noi ragazzi ci siamo mitridatizzati con la sua acqua e “lu bivere” lo usavamo come piscina.
Adesso una piccola avventura. Spesso, verso l’imbrunire, Michele Iozzo portava l’asino del nonno a bere. Lui era un ottimo fantino. Cavalcava a pelo con la disinvoltura di un Gaucho de Las Pampas. Spesso anche io montavo dietro. Una sera abbiamo avuto la infelice idea di andare fino a Dorico. Sapevamo della presenza di alcune ragazzine e volevamo farci vedere come prodi butteri maremmani. Arrivati sul ponticello, qualche figlio di pia donna ha tirato la coda all’asino. Uno scatto e ci siamo trovati nel fiume. La rigogliosa piantagione di giunchi e “agutamu” ha fatto da soffice tappeto. Ferito soltanto l’orgoglio di falliti cavallerizzi.

Purtroppo l’ingratitudine è stata, e lo sarà in secula seculorum, la dote che ha sempre abbondato nell’essere umano. Nessun dubbio in merito. Un nitido, triste ricordo.
Ragazzini, Ciccio Galloro ed io, stavamo alla Cutura davanti casa di mia zia Consiglia.
Vediamo passare due forestieri con un vecchio asino da noi conosciuto. Era evidente che l’animale non ne voleva sapere di seguirli. Ma i due uomini lo lo trascinavano sadicamente con la corda. Ragazzi curiosi ed impiccioni, chiediamo a Vincenzo di Cecilia – meglio conosciuto pomposamente come Giotto – cosa stessero facendo i due forestieri con l’asino di compare Nicola.
– Questi signori vengono a comprare asini vecchi e li portano a Bologna: lì ci fanno la Mortadella.
Ci siamo messi a ridere. Giotto era un tipo sempre allegro ed ironico. Giotto scherza.
Sessant’anni dopo. Lombardia. Provincia di Brescia.
Erano anni che sentivo parlare dei vini della Franciacorta. Ho sempre fatto parte attiva del gregge di Bacco. Così, finalmente ho la grande opportunità di visitare questa zona vinicola così famosa.
Passiamo, io e mia moglie, una faticosa giornata a visitare cantine.
Assaggiando, io, bianchi, novellini, rossi, rosati, secchi, semidolci, etc.
Sul tardi chiediamo ad un cortese vigile dove si può mangiare bene e semplice.
– Andate alla trattoria di Vanni. La moglie è una cuoca coi fiocchi.
Modesta, pulitissima e frequentata trattoria. La moglie in cucina, Vanni e la figlia ai tavoli. Appena seduti arriva Vanni: faccia gioviale e simpatica, cortesissimo.
Arriva subito un piattone di antipasti: prosciutto, culatello, olive, sottaceti, scaglie di parmigiano, ed una bottiglia di quello “buono” – per mia moglie Seven-up: in cinquanta anni non sono riuscito a convertirla. Pazienza!
– Siete fortunati – Vanni dice – oggi abbiamo spalla.
Il vino: un nettare. Mi avessero detto che lo beveva anche Giove, ci avrei creduto.
– Scusi, Vanni, – mia moglie – spalla di che?
– Mia bella signora – Vanni gioviale e cortese – la nostra specialità. Spalla d’asino. E garantito: asino giovane.
I nostri sguardi s’incrociano. Ci alziamo di scatto come fossimo seduti sulla brace.
– Signor Vanni, ci faccia pagare ciò che abbiamo consumato. Dobbiamo scappare a Milano. A mezzanotte abbiamo l’aereo.
Vanni ha capito. Non ha voluto niente.
Nessun dubbio sulla grande qualità dei vini della Franciacorta, ma in quanto ad abitudini gastronomiche, beh, lasciamo perdere. Dopo sessant’anni ho capito che Giotto parlava seriamente.
Questa è la gratitudine umana.
Soltanto il dialetto siciliano ha reso un poco di giustizia a questa mite ed umile creatura. In Siciliano si chiama scecco. Etimologia araba.
Poiché era il componente più importante per la sopravvivenza del nucleo familiare era “Lo Sceicco” della casa. Scecco, dall’arabo sceicco.
E, con la sua struggente canzone, anche il bravissimo menestrello Otello Profazio rende l’ultimo omaggio a questa stupenda ed incompresa creatura.
… Va a tu alma, que ya pace en el Paraiso…
Vada la tua anima nei pascoli del Paradiso.

Una piccola nota a margine. Nei miei frequenti viaggi ho incontrato paesani. Molti in Sud America, moltissimi in Nord America, alcuni in Francia.
Ebbene, parlando con loro ho provato un senso di amarezza (in castigliano si dice “amargura”, sentite come suona di tristezza) e di inferiorità. Si vergognavano di dire che al paese avevano l’asino.
O gente stolta.
Dovreste vantarvi.
È una medaglia al valore civico.
L’asino, nobile animale, non si sarebbe vergognato di voi. Lui vi voleva bene.
… … …
Qui mira e qui ti specchia
Secol superbo e sciocco.
(La Ginestra – Leopardi)
