Un mantello di neve, nuvole e nebbia

Mi sono svegliato e le nuvole entravano nella stanza del mio studio.
Sotto c’era un mare di nuvole basse come quelle che scorgi dall’aereo.

Ho ricordato un’altra mattinata di qualche anno addietro quando, grazie alle nuvole che camminano, il mare sembrava arrivato a S. Nicola.
Questa volta, però, c’era una nuova, sottile, lieve nevicata.

I tetti e le strade erano silenziosi, immobili, quasi sospesi a guardare l’evento naturale insolito. Macchina fotografica e comincio a scattare foto dal balcone di casa.

Esco: direzione Castagnarelle, casa-campagna di Mastro Mario, ma non si vede nulla. La nebbia è troppo densa.

Prendo la macchina, salgo verso il cimitero, c’è abbastanza neve. Imbocco la strada per Vallelonga, poi torno indietro e prendo la “panoramica” che dal cimitero porta al Carusu.

Mi fermo in piazza: monumento. Verso l’orizzonte. La palma, le gradinate, i comignoli, i tetti, la Piana, l’Angitola, S. Elia sembrano avere trovato un altro ambiente, essere fuggite al nostro sguardo abituale.

Di nuovo a casa; di nuovo verso il campanile della Chiesa Matrice, che da ogni punto appare il centro del mondo, il centro della memoria e della nostalgia, dell’altrove.

Un tempo, da noi, era – per me e qualcun altro lo è ancora – la Domenica dei parenti.
Le domeniche di Carnevale erano quattro: domenica degli amici, domenica dei compari e delle comari, domenica dei parenti, domenica di Carnevale o dei “denti”.

Il periodo carnevalesco, però, era più lungo e più intenso. Già nel periodo di uccisione dei maiali, in genere subito dopo il periodo natalizio e in prossimità della festa di S. Antonio Abate, si instaurava un regime di convivialità e anche di allegria.
I farsari preparavano le farse e i testi da rappresentare e i mascherati si davano da fare per trovare vestiti adeguati alla loro parte. La domenica che precedeva il Carnevale, quella dei parenti, si era già nella fase ascendente dei festeggiamenti. Così mi raccontava il grande Turi D’Eraclea.
Ai tempi della mia giovinezza Carnevale era quasi scomparso, poi l’abbiamo restaurato, ripreso e naturalmente ogni “ritorno” diventa qualcosa di nuovo.
“Domenica dei parenti – Amara chija casa chi non avi nenti”.

Dietro l’attesa e la gioia della festa e delle “mangiate”, c’erano la fame e la paura di non avere niente da mangiare.
Mostro le foto a mio figlio e a mia figlia, che si sono alzati tardi, domandando se era tornata la neve.
La Chiesa, dice Stefano, sembra il Paradiso. In che senso? gli domando. Sembra tutto alla “rovescia” come nelle immagini e nelle iconografia del Paradiso, che lo collocano in alto e nel cielo.
Ci penso meglio: il “mondo alla rovescia”. Il ribaltamento. È vero.
La neve, le nebbie, le nuvole, la natura ci hanno fatto un gioioso scherzo di Carnevale.
Hanno incrociato l’antico Carnevale.

Ci pensa la natura a procurarci le emozioni, il sorriso, lo stupore di cui noi non siamo sempre capaci. Dovremmo essere grati a questa natura: rispettarla, ri-guardarla (nel senso di guardarla con altro sguardo e di avere riguardo), curarla, avere cura.
Ci ha pensato, oggi, terza domenica di Carnevale, a dare il senso della possibile “inversione”, di una carnevalesca trasgressione, di un sogno di altrove e di uguaglianza.

La Città del Sole e il paese delle nuvole, che vanno, tornano, si abbassano, si alzano, prendono mille forme e mille colori, sono dense o liquide, sono metafora di un universo in viaggio e ricordano le storie di chi cammina, viaggia, guarda avanti, senza dimenticare da dove viene, anche con la fantasia, anche con l’immaginazione e la capacità di sognare.

Invio, per quello che valgono, queste mie immagini a tutti i sannicolesi nel mondo.

Con l’augurio di ogni bene…

Vito Teti